sabato 31 ottobre 2015

dalla stampa -p3



Bohemian Rhapsody, il mistero dei Queen. Un labirinto rock lungo quarant'anni

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"Don't stop me now" dei Queen è la canzone più positiva di tutti tempi. La rivelazione in uno studio scientifico




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 Gender Bender 2015 (*)(**)




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Martin Shkreli compra il brevetto del farmaco Daraprim per i malati di Aids e ne alza il prezzo del 5000%. "È l'uomo più cattivo d'America"

 Da 17 a 750 dollari in un giorno -La strana storia del farmaco anti Aids

Martin Shkreli, l'uomo più cattivo d'America, nel 2014 aveva alzato del 2000% il costo di una pillola per una grave malattia renale
  
Caso Daraprim: chi è Martin Shkreli, l'uomo più cattivo d'America

Martin Shkreli, il titolo della società crolla in borsa: "Taglierò il prezzo del farmaco, ma dovrò licenziare e ridurre costi di ricerca"
  
Aids, la risposta al farmaco da 750 dollari è una pillola anti-hiv da 1 dollaro

Il farmaco contro l'Hiv dell'uomo più cattivo d'America sarà prodotto da un'altra società a meno di 1 euro a pillola
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Turchia, il gelataio giocoliere fa volare i coni


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ITALIANS



All’estero il matrimonio gay, da noi le aggressioni

Caro Beppe, l’Irlanda ha detto sì al matrimonio omosessuale, in USA la Corte Suprema ha sancito che si tratta di un diritto costituzionale. A noi tocca ancora leggere che, in Italia, gli omosessuali vengono aggrediti per strada e addirittura arrivano a suicidarsi perché non accettati dalla famiglia. Né protetti dallo stato, vista la mancanza di una legge sull’omofobia.Paolo Amore , solo_pensieri@yahoo.it -QUI-

L’Italia è l’unica, tra le sei nazioni fondatrici dell’Unione Europea, a non riconoscere né le unioni civili né i matrimoni omosessuali. Ora su di noi pende una condanna della Corte europea dei diritti umani. Il ministro Maria Elena Boschi ha assicurato che la legge sulle unioni civili arriverà entro la fine dell’anno.  Speriamo abbia informato il collega di governo Angelino Alfano, che non sembra molto dell’idea.-
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Il meeting di CL, il cardinal Bagnasco e il matrimonio gay


Sconcertante notizia: “Al meeting di Comunione e Liberazione, il padre domenicano Giorgio Carbone ha dichiarato che secondo uno studio danese, “le coppie omosessuali sono più esposte a malattie e a suicidi”. E allora? Che significa caro padre domenicano? E se fosse vero, non pensi che la colpa sarebbe da attribuire a gente come te che per secoli si è adoperata e ancora oggi si adopera per rendere la vita difficile agli omosessuali? Senza ricorrere a studi, si potrebbe affermare con certezza che le coppie eterosessuali sono più soggette a femminicidi e ad infanticidi. E allora? Che significa? Non contento della castroneria, il domenicano ha aggiunto che “quelli tra omosessuali non sono veri matrimoni perché manca la relazione sessuale a fini riproduttivi: equivale a mettere un dito in un orecchio”. E allora possiamo senz’altro affermare che quelli tra coppie anziane la cui donna non è più in età fertile, non sono veri matrimoni. Che quelli delle coppie sterili non sono veri matrimoni. E andrebbero annullati anche i matrimoni di coloro decidono di non procreare. Ma le notizie sconcertanti non sono finite. Eccone un’altra: il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, in un’intervista al Corriere della Sera, rispondendo a una domanda sulle unioni civili, ha dichiarato: “Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione è voler trattare allo stesso modo realtà diverse: è un criterio scorretto anche logicamente e, quindi, un’omologazione impropria”. Cecità e crudeltà ad un tempo. Si fa, infatti, una palese discriminazione tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, ma soprattutto, tra i bambini delle coppie eterosessuali e i bambini della coppie omosessuali. Ma per la Chiesa i bambini non sono mai stati tutti uguali.Veronica Tussi , veronica.tussi@tiscali.it -QUI-

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Unioni civili: siamo sicuri che sia vero progresso?


Caro Severgnini, volevo farle alcune brevi considerazioni (da non giurista) a proposito delle unioni civili:
il ddl Cirinnà equipara in tutto l’unione civile al matrimonio “tranne che per l’adozione” (salvo poi prevedere la “stepchild adoption”, di fatto quasi aprendo le porte all’utero in affitto). Ora non si capisce perché chiamare con nomi diversi due cose identiche. È evidente il tentativo politico di fare accettare al popolo italiano le “unioni”, perché incontrerebbero meno opposizione, e in un logico secondo momento chiamare le cose con il loro nome, ovvero “matrimonio” (come già avvenuto in UK e Francia). Questo “graduale processo di accettazione” non sarà forse altro che propaganda mediatica (intensiva)?
E’ inoltre evidente il tentativo con l’unione civile o il matrimonio di ottenere l’accesso alle adozioni e alla fecondazione eterologa per le coppie omosessuali. L’istituto del matrimonio è infatti strettamente correlato alla crescita e all’educazione della prole (come stabilisce anche il nostro codice civile ad esempio agli articoli 147 e 315 bis). Ora, perché a suo tempo non fu accettata la proposta delle “coabitazioni non matrimoniali”? Perché essa, pur semplificando le norme vigenti in termini di coabitazione, testamento, visite in ospedale, reversibilità della pensione etc, non dava alcuno spazio alle cosiddette “famiglie omogenitoriali”. La questione delle unioni civili è quindi strettamente collegata a matrimonio, adozioni e fecondazione eterologa.
Non esiste alcun figlio nato da una coppia omosessuale. Un figlio viene generato solo da un gamete maschile ed uno femminile. Esistono quindi figli strappati artificialmente ad un genitore biologico per soddisfare il desiderio di paternità e maternità di coppie omosessuali.
Siamo sicuri che tutto ciò sia vero progresso? Se poi basta essere tacciati di omofobia come spesso accade solo per essere contrari al “matrimonio gay”, temo che la nostra democrazia non saprà affrontare adeguatamente la questioneDavide Checchi , davide.checchi@gmail.com-QUI-

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Unioni civili: quelle parole danno speranza


Caro Beppe, ti ringrazio di cuore per il bellissimo editoriale “Sulle unioni civili non bisogna nascondersi” – http://bit.ly/1VyW44Y ) pubblicato sul “Corriere”: avevo davvero bisogno di leggere quelle riflessioni, che condivido in pieno. Sono un uomo di 42 anni, gay, fortunato perché in salute e con un lavoro che mi permette di viaggiare molto e vedere il mondo. Che si evolve, va avanti, cambia di continuo. Nel bene e nel male. Amo il mio paese ma mi fa sentire un cittadino di serie B perché so di non avere i diritti che ha mia sorella (eterosessuale), ma esattamente gli stessi doveri. È una situazione frustrante, che mi fa molto soffrire. E le tue parole oggi mi hanno dato un soffio di speranza, hanno fatto bene al mio cuore. Spero vengano lette da chi di dovere. Grazie, con profonda stima.
Ps: ti ho incrociato quest’estate alla proiezione di LATIN LOVER della Comencini al Ducale; se ci sarà una prossima volta cercherò di vincere la mia timidezza e ti chiederò una stretta di mano.Valerio Baroni , valerio.baroni@hotmail.it-QUI-


Grazie delle belle parole, Valerio. Non sono le uniche, e vengono da persone con idee diverse in materia. Confesso: toccando questo tema in prima pagina sul Corriere della Sera, ero già rassegnato alla solita scarica di insulti. Non è accaduto: non qui e non su Corriere.it, non su Twitter e non su Facebook. Ogni tanto i miracoli succedono, anche nel nostro mestiere. Evviva, no?

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Unioni civili: dei doveri non si parla mai


Ciao Beppe, vorrei rispondere al tuo articolo sulle unioni civili (“Sulle unioni civili non bisogna nascondersi” – http://bit.ly/1VyW44Y ). La base sono queste frasi prese dal tuo commento:
“Nel XXI secolo due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, devono poter contrarre un’unione per organizzare la loro vita in comune: è normale. L’ Italia è l’unica tra i fondatori dell’Unione Europea a non contemplare né una cosa né l’altra. Al di fuori del matrimonio tradizionale, il limbo.Non è solo un’ingiustizia: è una pigrizia e una stranezza. Non sembra così complicato. Si tratta di decidere i confini di questi nuovi accordi: quali diritti vanno riconosciuti ai contraenti? Il disegno di legge Cirinnà prevede il diritto di assistenza in ospedale, il diritto di successione nell’affitto di una casa, il mantenimento temporaneo dell’ex partner in difficoltà e la possibilità di fare «un accordo con cui i conviventi di fatto disciplinano i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune e fissano la comune residenza». Questioni ovvie: provate a chiedere in giro”.
In tutto questo dibattito ho il forte timore che la maggioranza delle persone e dei commentatori dimentichi un dettaglio, che poi dettaglio non è: i diritti che scaturiscono dal matrimonio tradizionale (e desiderati dai promotori delle unioni civili) si accompagnano a precisi doveri che un uomo e una donna sposi si assumono davanti allo Stato (e a Dio, se il matrimonio è celebrato in Chiesa): fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione, cura ed educazione della prole, solo per citare i più importanti. Se si desiderano diritti, bisogna ricordare che essi si accompagnano all’accettazione di quei precisi doveri. E se si è pronti ad accettarli, perché allora non sposarsi direttamente? Per ideologica contrarietà al matrimonio? Non dubito che queste ideologiche contrarietà siano milioni di milioni. Ma non si dica che queste persone in Italia non hanno modo di regolare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune e fissare la comune residenza per ingiustizia, pigrizia o stranezza. Ce l’hanno eccome: sposandosi.
E da questo assunto ne deriva un altro: ammesso che si riesca a redigere una buona legge sulle unioni civili, quali sono i diritti da non riconoscere a chi si unisce civilmente per non far sostanzialmente equiparare l’unione al matrimonio tradizionale? Il rischio è che ne venga fuori un pasticcio tale da far dire agli stessi unendi: “Se devo rinunciare a quella roba lì, tanto vale che ci sposiamo”.
Forse, provo ad azzardare un pochino, sarebbe più corretto individuare delle fattispecie pratiche per riconoscere diritti parziali per situazioni di emergenza, penso per esempio all’assistenza tra due anziani che non hanno più nessuno e si tengono compagnia. Cose che sono nel comune sentire e che non hanno niente a che vedere col matrimonio, o che non si possono risolvere col matrimonio. Però credo che allora sarebbe una discussione più onesta. Per me una coppia tradizionale non avanti con l’età, che desiderasse diritti, è più che tutelata dalla nostra giurisdizione. Può avere quei diritti ma deve anche assumersi dei doveri. Può cioè ricorrere al matrimonio.
Non mi dispiacerebbe che partisse questo utile dibattito, magari da un tuo pezzo sul “Corriere”. Forse mi sbaglio grossolanamente, ma finora nessun commentatore mi ha convinto, se non dicendo “Guarda che le unioni civili ci sono in tutto il mondo, e quindi è assurdo che non si facciano anche qui in Italia”.Con stima,Giusto Ferronato, GFerronato@rcs.it -QUI-

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Matrimonio gay: perché chiamare melo un pero?


Caro Severgnini, mater munus: la parola “matrimonio” richiama il concetto materno. Il matrimonio come istituzione è nato, secondo alcune fonti, allo scopo di individuare di quale uomo siano i figli nati da una determinata donna: del marito, di colui col quale quella donna è legata, appunto, dal “matrimonio”. Una esigenza di certezza sentita fin dall’antichità, con le sue eccezioni ovviamente, da sempre sapute ma non tali da mettere in dubbio la regola. Concetti oggi discutibili, ma difficile è discutere queste radici del matrimonio. Perché pretendere di usare una parola che ha un suo significato – per molti sacro – per definire situazioni diverse? La base di tante rivendicazioni poggia per l’appunto sul rispetto delle diversità, sulla pari dignità. Ma in realtà questa diversità, e quindi la sua dignità, in realtà la si rifiuta se si vogliono usare parole che tendono a velarla, a negarla. L’amore, la fedeltà, l’assistersi, il formarsi di diritti e di doveri, sia reciproci sia verso la società, tra due persone che, essendo dello stesso sesso, secondo natura non possono insieme generare dei figli, è un’esigenza non meno radicata nella storia dell’umanità di quanto non lo sia il matrimonio, e meritano oggi anche una tutela giuridica apposita. Ma tutto ciò non è il matrimonio, che identifica il generare figli in virtù dell’amore tra un uomo ed una donna all’interno di un rapporto non più nobile dell’altro, ma sicuramente diverso – quella diversità della quale giustamente si reclama la pari dignità, ma che contemporaneamente si nega quando, per definirne la realizzazione, si vuol usare il nome di un’altra situazione. Perché chiamare melo un pero? Entrambi hanno la stessa dignità, ma se dal fruttivendolo chiedo un chilo di mele, e lui me le dà, non posso rifiutarle dicendogli che io volevo quelle fatte a forma di pera. Altrimenti “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”, ma qual è il senso se non quello, appunto, di un rifiuto della propria diversità?Paolo Galli, p.galli.italians@virgilio.it-QUI-

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Matrimonio gay: è il contesto che determina il significato


CaroSevergnini, un lettore chiede ingenuamente: “Perché chiamare melo un pero? Entrambi hanno la stessa dignità, ma se dal fruttivendolo chiedo un chilo di mele, e lui me le dà, non posso rifiutarle dicendogli che io volevo quelle fatte a forma di pera… Perché pretendere di usare una parola che ha un suo significato… per definire situazioni diverse?… qual è il senso se non quello, appunto, di un rifiuto della propria diversità?” (“Matrimonio gay: perché chiamare melo un pero?” – http://bit.ly/1K6qwj5 ). E’ evidente che il lettore non ha mai sentito parlare in linguistica di omonimia, omografia etc, altrimenti si dovrebbe chiedere anche perché chiamiamo “cera” il prodotto delle api e “cera” l’aspetto, “canto” un angolo, e “canto” una canzone, “vite” il plurale di vita e “vite” la pianta dell’uva, oppure, per fare un esempio ancora più azzeccato, visto le analogie, perché il termine “rete” ha sei o sette significati, compreso quello ultimo della rete web. Esempio più azzeccato, giacché ci sono analogie anche tra l’unione di due persone di sesso diverso e l’unione di due persone dello stesso sesso. E non è che chiamando con lo stesso nome realtà diverse, scompare la diversità. Se chiamo “rete” la rete del pescatore, o quella di un campo da calcio, o la rete internet, la loro diversità non muta assolutamente. E’ il contesto che determina il significato pieno di una parola. Solo uno sciocco può chiedere al fruttivendolo mele, desiderando pere, giacché questi frutti hanno nomi diversi, ma se parlo del matrimonio di Paola e Francesco tutti sanno di che cosa sto parlando, così come capiscono tutti al volo se parlo del matrimonio di Paola e Francesca.Francesca Ribeiro, ribesca@tiscali.it-QUI-

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L’unione civile esiste già: si chiama matrimonio tra uomo e donna


Caro BSev, a voler ben vedere l’unione civile esiste già. Si chiama matrimonio. Il punto è che, sulla scia di usi millenari, il matrimonio è tra una donna ed un uomo, e ha una precisa funzione sociale. Volendo sfrondare gli orpelli che automaticamente tutti noi associamo al matrimonio sia civile sia religioso (abitobianco-limousine-autista-anelli-cerimonia-sedierosse-fotografoufficiale-videografoufficiale-banchetto-confetti-viaggio), entrambi i matrimoni sono in essenza un impegno pubblico ad assumere diritti e doveri. Per il resto possono essere estremamente semplici, poco costosi, e molto veloci: nulla di materiale è indispensabile, nemmeno gli anelli, nemmeno in chiesa. Più o meno come immagino potrebbe essere la dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle unioni civili. Ma. Ma le unioni civili non riguarderebbero solo donne e uomini, ma tutti quei cittadini che desiderano dare una veste formale alla loro relazione: gli omosessuali, ma anche due anziani amici che si fanno compagnia. Resta da capire quali diritti e quali doveri si associano a questo “matrimonio leggero”: assistenza, certo, ma i vincoli patrimoniali non sono solo attivi (prendo la pensione di reversibilità), ma anche passivi (ho una responsabilità di sostegno economico ed il dovere di solidarietà). Che ne facciamo di tutto questo, che ha una valenza sociale importante? Quante unioni civili posso contrarre contemporaneamente? Quante voglio? Una per volta? E come si scioglie l’unione civile? Con una dichiarazione? E se uno dei due non è d’accordo? Una dichiarazione unilaterale? Sono i rapporti patrimoniali la fonte principale di contenzioso tra futuri ex-coniugi. Questa forma di sub-matrimonio non mi convince per niente. Moltissimi dei rapporti possono essere regolati in altro modo, come per esempio l’assistenza in ospedale. Certo, della pensione di reversibilità non si può disporre… Ma forse lo scopo è un altro, e allora le unioni civili sono solo un’ipocrisia. Un saluto.Luca Alessandro Remotti, luca.remotti@gmail.com-QUI-

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Il matrimonio di Paola e Francesco e’ una cosa: l’unione di Paola e Francesca è un’altra


Trovo divertente l’arrampicata sugli specchi metaforicamente rappresentata dalla lettera di Francesca Ribeiro sui “matrimoni gay” (“Matrimonio gay: è il contesto che determina il significato” – http://bit.ly/1VPqNuZ ). Il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna che si impegnano, davanti a un’autorità civile o ecclesiastica, a una completa comunione di vita nel rispetto dei reciproci diritti e doveri’. Tutte le culture attribuiscono al matrimonio la caratteristica civile e religiosa della sacralita’. Per questa ragione e’ celebrato nel rito civile e religioso della cerimonia nuziale. Il lemma può senz’altro essere impiegato nel senso figurato di “unione” ma in questo caso perderebbe il suo significato originario che è quello di “dovere, compito della madre”. Dunque matrimonio, rispetto all’unione fra due individui dello stesso stesso, pone maggiore enfasi sulla finalità procreativa dell’unione fra un uomo e una donna. L’etimologia stessa fa riferimento al “compito di madre” più che a quello di moglie, ritenendo quasi che la completa realizzazione dell’unione tra un uomo e una donna avvenga con l’atto della procreazione, con il divenire madre della donna che genera, all’interno del vincolo matrimoniale, i figli legittimi. Preso atto che in questi tempi moderni la procreazione puo’ avvenire “artificialmente” dall’unione fra persone di identico sesso, compito del legislatore è regolare queste unioni, garantirle e proteggerle attraverso una normativa fatta di diritti e doveri per coloro che in piena liberta’ si “uniscono” in questo modo diventando anche mamme e papà. Secondo me questa insistenza nel voler chiamare “matrimonio” una “unione” di tipo “diverso” dal matrimonio rivela che i “diversi” si vergognino di sentirsi “diversi”. Ma non c’e’ proprio ragione di vergognarsi della propria “diversita’”: il matrimonio di Paola e Francesco e’ una cosa; l’unione di Paola e Francesca (o quella di Paolo e Francesco) e’ un’altra cosa: entrambe legittime, ma “diversamente uguali”. L’uguaglianza non si fa cambiando il significato delle parole, ma con i fatti.Elsa Cazzaniga, e_cazzaniga75@yahoo.it-QUI-

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Matrimonio tra due persone dello stesso sesso: c’è già in 21 nazioni


Gentile Beppe , quanti ingenui le scrivono riguardo alle unioni di persone dello stesso sesso? L’altro giorno un’ingenuità l’ha fatta notare la mia amica Francesca Ribeiro, nella lettera “Matrimonio gay: è il contesto che determina il significato” ( http://bit.ly/1VPqNuZ ). Oggi leggo altre ingenuità nella lettera “L’unione civile esiste già: si chiama matrimonio tra uomo e donna” ( http://bit.ly/1UPa2xo ), con le domandine: “Quante unioni civili posso contrarre contemporaneamente? Quante voglio? Una per volta? E come si scioglie l’unione civile? Con una dichiarazione? E se uno dei due non è d’accordo? Una dichiarazione unilaterale?”. E la conclusione: “Questa forma di sub-matrimonio non mi convince per niente. Moltissimi dei rapporti possono essere regolati in altro modo, come per esempio l’assistenza in ospedale. Certo, della pensione di reversibilità non si può disporre… Ma forse lo scopo è un altro, e allora le unioni civili sono solo un’ipocrisia”. E all’estero? Tutti meno intelligenti di noi? Tutti ipocriti? Mi limito a trascrivere da Wikipedia: “Al giugno 2015 due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all’istituto del matrimonio in 21 nazioni: Spagna, Francia, Regno Unito (tranne l’Irlanda del Nord), Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca (compresa la Groenlandia dal 2015), Finlandia (a inizio 2017 le prime celebrazioni), Islanda, Norvegia, Svezia, Irlanda, Stati Uniti (in tutti gli Stati della federazione e il distretto federale di Washington, DC), Canada, Messico (nella capitale e in due Stati della federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda. Inoltre a Malta, in Israele e nelle nazioni caraibiche di Aruba, Curaçao e Sint Maarten, pur non essendo consentito alle persone aventi lo stesso sesso di accedere all’istituto del matrimonio, vengono registrati i matrimoni fra persone dello stesso sesso celebrati altrove. In vari paesi si può accedere a ufficializzazioni diverse dalle nozze; le persone omosessuali, aventi o meno la possibilità di contrarre matrimonio, hanno spesso accesso a questa tipologia di unioni civili. Miriam Della Croce, miriamdellacroce@tiscali.it-QUI-

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Sono eterosessuale, però mi preoccupo della libertà altrui


Gentile Severgnini, mi permette, in via eccezionale, di rispondere qui a due dei tanti commenti ricevuti a seguito della mia lettera “Matrimonio tra due persone dello stesso sesso: c’è già in 21 nazioni”? (“http://bit.ly/1M6vL1T ). Un signore mi scrive: “Il suo è un argomento inconsistente sul piano logico. La pena di morte si pratica in 36 paesi e l’infibulazione femminile in una decina, ma questo non significa che l’Italia dovrebbe affrettarsi ad allinearsi”. Gentile signore, e il suo sarebbe un ragionamento logico? Mettere con sconcertante disinvoltura sullo stesso piano il matrimonio gay e pratiche barbare e disumane quali la pena di morte e l’infibulazione, è ragionamento logico? La logica del mio ragionamento era il seguente: se in 21 nazioni esiste l’unione civile tra persone dello stesso, e in quelle nazioni non si è disgregata la società, non è finito il mondo, significa che chi a quella nuova istituzione si oppone con tanto accanimento, fa tanto tanto rumore per nulla. Una signora invece mi scrive: “Anche io sono stupita, gentile Miriam osservando l’isteria mondiale nel pretendere il matrimonio a tutti i costi per persone dello stesso sesso… con tutti i problemi che ci sono nel mondo poi… Io sono etero e a questa istituzione non ho mai dato alcuna importanza… ma perché vi ostinate cosi tanto?”. Gentile signora, io potrei chiedere a lei, a maggior ragione: ma perché vi ostinate tanto a negare a due persone omosessuali il riconoscimento della loro unione? Perché non v’impicciate dei diritti vostri anziché di quelli altrui? Anch’io sono etero, però mi preoccupo della libertà altrui.Miriam Della Croce, miriamdellacroce@tiscali.it-QUI-

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Carla, Anna, la loro bambina e la scuola materna


Cari Italians, intervengo sul tema delle unioni di coppie omosessuali con un piccolo pezzo di vita vissuta. Una coppia di donne, Carla (la mamma biologica) ed Anna, e la loro bimba. Inserimento alla scuola materna. Durante i primi due giorni di inserimento (un’ora con la presenza del genitore) Anna accompagna la bimba e si ferma lì con lei. Il terzo giorno lo schema prevede di accompagnare i bambini e di andarli a riprendere dopo qualche ora. All’una Anna si affaccia sorridente alla porta della classe. La bimba la vede e le corre incontro. Le insegnanti la chiamano un attimo in disparte e le dicono che non può ritirare la bambina perché la compagna non ha ancora firmato la delega. Per come stanno ora le cose, legalmente Anna per la bimba non è nessuno. Al di là della mala gestione nel caso specifico, ci tenevo a scrivere queste righe perché alle volte in questo tipo di discussioni si rischia di perdere di vista la vita reale.Lorenza Luparia, lucaelore@tiscali.it-QUI-

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Le coppe gay e le due famiglie di Ramatuelle


Caro Beppe, anche quest’anno girando in moto in Provenza ho passato 3 giorni a Ramatuelle, portato dai ricordi di quando, anni ’70, i miei mi mostrarono il set delle riprese de “I gendarmi di St. Tropez” che mi faceva ridere quando De Funès inseguiva i nudisti per arrestarli, e negli anni ’80 portato dalla famiglia che mi ospitava per uno scambio di Intercultura. La spiaggia è rimasta la stessa, un verde intatto fatto di pinete, vigneti, e macchia mediterranea fino a ridosso del mare, un mix europeo di famiglie, coppie eterosessuali e omosessuali, gruppi di giovani, pensionati che ormai vivono qua, nudismo autorizzato, ma sempre facoltativo. Ci sono 2 famiglie italiane che vedo sempre e, pur non avendoci mai parlato, ho visto questi bambini diventare adolescenti, giocare a palla prigioniera (o era palla battaglia?) coinvolgendo altri vicini di “telo mare”; la sera sono spesso gli ultimi ad andarsene. Basta una battuta intercettata mentre trascini i piedi verso il parcheggio per la conferma della simpatia di questa tribù, come quest’anno quando al ragazzo più grandicello dai capelli rossi che dice agli altri “allora io vado con lòro” ( con la “o” torinese aperta) il ragazzo dai capelli scuri dell’altra famiglia di diversa origine regionale risponde “ah.. allora io vado con l’argento!”. Chissà se queste 2 “famiglie tradizionali” hanno mai delegato a qualcuno di rappresentare cosa vogliono dal legislatore per le coppie gay, se considerano “famiglia” le persone di quella spiaggia in cui una partita a palla battaglia (sì, mi sa che era palla battaglia) non richiede neanche di sapere che lingua parlino. In un Paese in cui ognuno si erge a giudice degli altri, e ci sono così tanti avvocati di parte mai nominati, io mi tengo l’immagine di quelle 2 famiglie, e la battuta divertente di quello che “se ne va con l’argento”, poiché l’ironia acuta con cui l’intelligenza di un quindicenne ci stupisce è tutto quello che abbiamo per sopravvivere. E non è poco.Gianluigi Melesi, gmelesi@hotmail.it-QUI-

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Riflessioni su supermercati, semi e ovuli


Cari Italians è ben vero che un’istantanea vale mille parole. Al supermercato, la donna è di spalle e col suo carrello ostruisce la corsia. Se ne avvede e mentre si volta scusandosi, il suo seno lauto e irriverente, serrato in una generosa e altruistica scollatura, mi sorprende. Un “oh” mi sfugge con una naturalezza quasi offensiva inducendo in lei un sottile sorriso. La rivedo minuti dopo tra la gente alle casse, punto di accumulazione di sguardi, smorfie e commenti. Un giovane uomo, ben strutturato, prima la guarda con interesse poi l’aiuta a imbustare la spesa; ho dinanzi a me la rappresentazione pittorica dei meccanismi di vita; da un lato la ricerca da parte della donna di un futuro ottimo per uno dei circa cinquecento ovuli disponibili nel ciclo della sua vita; dall’altro l’impellenza dell’uomo alla pan-spermìa, cioè all’istinto di innaffiare il mondo con le migliaia di miliardi di semi prodotti nel suo ciclo di vita. Ecco: la differenza di ordini di grandezza tra semi e ovuli prodotti ha forgiato nei millenni il carattere degli uomini e delle donne nelle loro specificità e dunque nei loro contrasti. Mentre in fila aspetto il mio turno il mio pensiero vaga, e si chiede come sarebbero stati i rapporti tra i generi se la natura avesse, per esempio, rese costantemente disponibili nella donna decine di migliaia di ovuli e nell’uomo un solo spermatozoo al mese, fecondo per 5 giorni. Mentre così divago, una voce femminile, di sapore trasteverino, apostrofa sarcastica il drudo che scorta cotanto seno verso l’uscita: “Ahò, nun te fa’ fregà, è tutta plastica” e io ritorno con un sorriso al mondo reale.Cesare Cerri, Roma, caesar.cerri@gmail.com--QUI-

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La famiglia tradizionale e gli alieni del pianeta Genderia


La distruzione della famiglia tradizionale, la distruzione delle differenze. Molti cattolici sono preoccupatissimi. Sono preoccupatissimi a causa del misterioso arrivo sulla terra di alieni provenienti da un lontanissimo pianeta, chiamato Genderia. Sembra che abbiano l’intenzione di distruggere la nostra società. E poiché fondamento della società è la famiglia, i genderiani attaccano la famiglia. Prendono le sembianze di uomini feroci e decisi a tutto. Si presentano ad un prete che sta per celebrare un matrimonio, e gli dicono: “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. Stesso discorso ad un pubblico ufficiale che s’appresta a celebrare un matrimonio civile. E non basta, giacché sembra che i genderiani abbiano anche minacciato e terrorizzato migliaia di giovani coppie costringendole a non sposarsi. Nessuno ne parla, per non allarmare la popolazione, ma l’affare è davvero serio. I genderiani entrano nelle famiglie già costituite, rapiscono uno dei genitori e lo sostituiscono con un alieno dalle sembianze umane. Ma la cosa grave è che non sostituiscono un maschio con un maschio e una donna con un’altra donna: al posto del papà mettono una mamma e al posto di una mamma mettono un papà, così che, cosa atroce, tremenda, i bambini si trovano ad avere due mamme o due papà. Ma c’è qualcosa di ancora più spaventoso (le persone troppo sensibili non vadano avanti nella lettura!): sembra che i genderiani abbiano già costretto molti docenti nelle scuole ad insegnare cose assurde ai bambini. Il loro scopo è di far sì che non ci sia più nessuna differenza tra femmina e maschio, tra pene e vulva, infatti questi organi, secondo la loro mente malata, dovranno sparire dalla faccia della terra. Ci sarà un solo organo: “vulpen” (senza articolo davanti). Le femmine avranno vulpen e i maschi pure avranno vulpen. La distruzione della famiglia tradizionale, la distruzione delle differenze. Questo il disegno criminoso dei genderiani, alieni provenienti forse da un’altra galassia. Dio ci aiuti!Miriam Della Croce , miriamdellacroce@tiscali.it -QUI-

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Riflessioni su supermercati, semi e ovuli


Cari Italians è ben vero che un’istantanea vale mille parole. Al supermercato, la donna è di spalle e col suo carrello ostruisce la corsia. Se ne avvede e mentre si volta scusandosi, il suo seno lauto e irriverente, serrato in una generosa e altruistica scollatura, mi sorprende. Un “oh” mi sfugge con una naturalezza quasi offensiva inducendo in lei un sottile sorriso. La rivedo minuti dopo tra la gente alle casse, punto di accumulazione di sguardi, smorfie e commenti. Un giovane uomo, ben strutturato, prima la guarda con interesse poi l’aiuta a imbustare la spesa; ho dinanzi a me la rappresentazione pittorica dei meccanismi di vita; da un lato la ricerca da parte della donna di un futuro ottimo per uno dei circa cinquecento ovuli disponibili nel ciclo della sua vita; dall’altro l’impellenza dell’uomo alla pan-spermìa, cioè all’istinto di innaffiare il mondo con le migliaia di miliardi di semi prodotti nel suo ciclo di vita. Ecco: la differenza di ordini di grandezza tra semi e ovuli prodotti ha forgiato nei millenni il carattere degli uomini e delle donne nelle loro specificità e dunque nei loro contrasti. Mentre in fila aspetto il mio turno il mio pensiero vaga, e si chiede come sarebbero stati i rapporti tra i generi se la natura avesse, per esempio, rese costantemente disponibili nella donna decine di migliaia di ovuli e nell’uomo un solo spermatozoo al mese, fecondo per 5 giorni. Mentre così divago, una voce femminile, di sapore trasteverino, apostrofa sarcastica il drudo che scorta cotanto seno verso l’uscita: “Ahò, nun te fa’ fregà, è tutta plastica” e io ritorno con un sorriso al mondo reale.Cesare Cerri, Roma, caesar.cerri@gmail.com-QUI

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Il matrimonio, le unioni civili e l’impatto sulla società


Cara Miriam Della Croce (“La famiglia tradizionale e gli alieni del pianeta Genderia” – http://bit.ly/1Vcubhc ), qui non si tratta di essere ingenui o di avere paura di qualcosa che non è nemmeno ben definito (la gender theory). Non si tratta neppure di mancare di rispetto ad alcun essere umano: il comandamento cristiano dell’amore per il prossimo si applica indistintamente a TUTTI gli esseri umani. Il ragionamento è molto più elevato e va oltre aspetti puramente emotivi. Si tratta di capire se vi siano delle scelte e dei comportamenti umani che hanno una più ampia valenza sociale e che in quanto tali debbano essere regolati. Parliamo di fondamenti etici dei comportamenti e delle relazioni umane, non banalizziamo. La famiglia è una società naturale che costituisce l’essenza della società più ampia in cui è inserita e ne costituisce elemento determinante dal punto di vista sociale, economico, della conoscenza, dello sviluppo dell’umanità. Sono le scelte della famiglia a determinare cosa è e sarà la società. L’atto generativo è l’unione di una cellula femminile e una cellula maschile, e presuppone la diversità sessuale. Ridurre il dibattito ad una semplice questione moralistica è mortificante. In questa ottica ci sono richieste – di molti, o di pochi, non lo so – di modificare il concetto fondamentale di famiglia per come è ora definito (in Germania, dove l’unione civile esiste dal 2001, essa non è giuridicamente equiparata al matrimonio). Io non ho una risposta personale ad un problema molto serio e complesso, ma rivendico la possibilità di ragionare a livello alto su questi temi etici senza per questo essere definito ingenuo, timoroso, o peggio, omofobo. Perché l’ipocrisia a cui facevo riferimento nel mio post è proprio questa: l’unione civile – alla quale non sono contrario, ma vorrei capire in cosa consiste veramente e quali effetti ha – è solo un contentino, perché nessuno ha veramente il coraggio di aprire un dibattito sull’essenza stessa del matrimonio. Saluti,Luca Alessandro Remotti, luca.remotti@gmail.com-QUI-
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Le unioni civili e la reinvenzione del lupo cattivo


Gentile Severgnini, mi concede diritto di replica? A seguito della mia lettera da lei cortesemente pubblicata col titolo “La famiglia tradizionale e gli alieni del pianeta Genderia” ( http://bit.ly/1Vcubhc ), ho ricevuto, com’era da prevedersi, rimproveri e complimenti. La mia voleva essere una garbata presa in giro di coloro che vedono nelle unioni civili delle persone omosessuali un pericolo per la società. Con la lettera “Il matrimonio, le unioni civili e l’impatto sulla società” ( http://bit.ly/1iPDgRg ) il lettore Luca Alessandro Remotti, disapprova, e scrive: “La famiglia è una società naturale che costituisce l’essenza della società più ampia in cui è inserita e ne costituisce elemento determinante dal punto di vista sociale, economico, della conoscenza, dello sviluppo dell’umanità. Sono le scelte della famiglia a determinare cosa è e sarà la società. L’atto generativo è l’unione di una cellula femminile e una cellula maschile, e presuppone la diversi tà sessuale”. Soliti discorsi. La risposta è: e allora? Dove sono gli studi seri, le prove, numeri, statistiche, comprovanti che la “famiglia naturale” ha subito danni dal riconoscimento delle unioni civili tra persone omosessuali, nei Paesi dove da tempo esistono già? Il lettore Achille Ziccardi mi scrive da Anversa: “Solidarizzo al 100 % con la sua mail pubblicata oggi su “Italians” da un paese, il Belgio, dove sono già una generazione oltre, almeno”. Perché non diciamo la verità? Vale a dire che l’Italia in certe questioni resta indietro rispetto ad altri paesi perché sente troppo l’influenza della Chiesa? Il 2 febbraio del 2013 l’Assemblea Nazionale francese, con una schiacciante maggioranza di 249 sì e 97 no, approvò l’articolo 1 del progetto di legge che legalizzava i matrimoni omosessuali. Il commento del cardinale Bagnasco fu: “Siamo vicini al baratro”. Quale baratro? Ecco perché mi sembra che l’unica maniera per parlare con coloro che si sono reinventati il lupo cattivo, sia quella di fare della garbata ironia. Attenti al pianeta Genderia! Non sottovalutate il pericolo!Miriam Della Croce, miriam della croce-QUI-

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Le unioni civili e i profeti di catastrofi


Caro Beppe, ringrazio pubblicamente le amiche Italians che mi hanno voluto citare ben 3 volte negli ultimi giorni. Riprendo il discorso di Miriam Della Croce (“Le unioni civili e la reinvenzione del lupo cattivo” – http://bit.ly/1Fsnshn ) per aggiungere: no, profeti di catastrofi, il mondo civile non si cura di voi. Profeti di sventure, cardinali, vescovi, preti ed estremisti cattolici di ogni specie, oltre ad impicciarsi pesantemente di una materia che riguarda SOLO la Repubblica Italiana e non il Vaticano, sembrano credere che, da unioni civili o matrimoni gay, da una migliore e più accurata istruzione nelle scuole deriverà chissà quale catastrofe naturale o sociologica, che diventeremo come Sodoma e Gomorra e sarà sangue e stridore di denti. Io abito in un paese, il Belgio, N.B. paese a larga maggioranza cattolica, dove il matrimonio (non unione civile: matrimonio) omosessuale è cosa largamente acquisita da una ventina d’anni ormai. Polemica ce n’è si’ e no stata, in questo felice paese coi nervi saldi e senza bollenti spiriti, dove non c’è concordato col Vaticano e la gente ha le idee estremamente chiare in materia di diritti e limiti reciproci dello stato e della chiesa. Chi nasce etero continua a morire etero, chi nasce omo continua a morire omo, chi nasce tondo non diventa quadro neanche sotto tortura, nessun farmacista vende pillole o iniezioni per “guarire” i gay, a nessuno psicologo o ciarlatano verrebbe mai in mente di affermare che un gay può diventare etero a seguito di trattamento psicologico/psichiatrico, non ci sono situazioni di disordine, c’è un rispetto per la pricacy altrui di là da venire in Italia, tanti che in Italia sono infelici ai margini della società qui vivono felici e sereni. Stesse o fortemente simili situazioni si constatano negli altri paese europei, la maggioranza, tra l’altro nelle cattolicissime Spagna, Portogallo e Irlanda, paesi che 40 anni fa erano “20 anni indietro” per definizione, e che ci hanno raggiunti e superati in tantissimi campi, tra i quali questo di cui trattiamo. 10 anni fa l’argomento non era prioritario. 9 anni fa neanche. 8 anni fa neanche e via via fino ai giorni nostri. la domanda sorge spontanea: si può sapere quando diavolo diventerà prioritario? Grazie per l’attenzione.Achille Ziccardi, ilpelide@hotmail.com-QUI-


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 Le unioni civili, il ddl Cirinnà e la Costituzione


Caro Severgnini, nel dibattito sulle Unioni civili è difficile per l’opinione pubblica capire il perché le proposte della relatrice Monica Cirinnà trovino una così forte opposizione in Commissione Giustizia del Senato. Ma se si legge il testo unificato della Cirinnà all’art. 8 si trova scritto che si intendono conviventi di fatto le persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale. Negli articoli successivi si assegnano ai conviventi di fatto gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario e il diritto reciproco di visite, di assistenza, nonché di accesso alle informazioni personali nel caso di malattie e ricovero. Ciascun convivente inoltre può designare l’altro quale suo rappresentante in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, o in caso di morte per quanto riguarda la donazione di organi etc. Vi è poi il diritto di abitazione e di successione nel contratto di locazione, l’inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, l’obbligo di mantenimento e alimentare, la partecipazione agli utili di impresa commisurato al lavoro prestato, la possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno dell’altra parte, e infine in caso di decesso del convivente di fatto derivante da illecito, di un terzo l’applicazione dei medesimi criteri per il risarcimento del danno al coniuge superstite.
Sul riconoscimento di questi diritti c’è convergenza pressoché totale in commissione, senonché, secondo l’art. 16 del testo Cirinnà il contratto di convivenza fra le parti può essere stipulato soltanto da coppie eterosessuali, mentre due persone dello stesso sesso sulla base dell’art. 1 della proposta costituiscono una unione civile, come nel matrimonio, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di Stato civile e alla presenza di due testimoni. I due uomini o le due donne possono stabilire il cognome dell’unione civile scegliendolo fra i loro cognomi, conservandolo durante lo stato vedovile fino a nuove nozze o al perfezionamento di nuova unione civile fra persone dello stesso sesso. Di più: se uno dei due uomini risulta padre di un bambino, magari ottenuto all’estero con la pratica del cosiddetto utero in affitto, il partner può adottarlo diventando i due genitore uno e genitore due.
Come si vede, mentre la seconda parte del provvedimento ottempera alle sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione che hanno sottolineato che secondo l’art. 29 della nostra Costituzione il matrimonio può esistere soltanto fra un uomo ed una donna, mentre gli altri rapporti vanno inquadrati nell’ambito delle formazioni sociali dell’art. 2 della Costituzione, l’unione civile, nella versione Cirinnà, si differenzia dal matrimonio soltanto nel nome mentre di fatto spalanca le porte agli istituti della reversibilità ed altri benefici collegati al matrimonio, alla pratica dell’utero in affitto e alle adozioni da parte di coppie omosessuali, togliendo ai bambini il loro inviolabile diritto di avere un padre ed una madre. In realtà, contrariamente a quanto si vuole propagandare, noi siamo favorevoli ad un provvedimento che rispetti l’art. 29 della Costituzione e le sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione, da applicare sia alle coppie etero che a quelle omosessuali.
Dall’altra parte invece c’è la pretesa, come denunciato dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, di cancellare il contenuto dell’art. 29 senza provvedere ad una sua modifica attraverso i meccanismi che la stessa Costituzione dispone, sovrapponendogli con legge ordinaria norme che parificano le unioni civili al matrimonio. Se pertanto questo provvedimento è ancora fermo in Parlamento la responsabilità ricade su quelli che vogliono stravolgere la Costituzione laica e Repubblicana parificando unioni civili e matrimonio senza avere il coraggio di una battaglia parlamentare per modificare l’art. 29.Sen. Carlo Amedeo Giovanardi, carloamedeo.giovanardi@senato.it-QUI-
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Unioni civili: i bambini e i diritti


Su “Italians” – Corriere della Sera, il senatore Carlo Giovanardi ha scritto: “L’unione civile, nella versione Cirinnà, si differenzia dal matrimonio soltanto nel nome mentre di fatto spalanca le porte agli istituti della reversibilità ed altri benefici collegati al matrimonio, alla pratica dell’utero in affitto e alle adozioni da parte di coppie omosessuali, togliendo ai bambini il loro inviolabile diritto di avere un padre ed una madre”. Come obiettare ad un discorso del genere? E’ inoppugnabile, inconfutabile, non fa una piega. Non si può togliere ai bambini il diritto inviolabile di avere un padre e una madre. Non si può. Si potrebbe sollevare la timida obiezione che non esistono studi che dimostrino che i bambini cresciuti da coppie omosessuali siano meno felici dei bambini cresciuti da coppie eterosessuali, anzi secondo quanto riferisce Wikipedia, esistono studi che dimostrano il contrario. E in tal caso violare il diritto ad avere un padre e una madre non sarebbe cosa rilevante. Ma sono studi che lasciano il tempo che trovano. Ed invece c’è un’obiezione seria che dimostra l’inganno contenuto nel discorso di Giovanardi, ed è la seguente: l’alternativa a dare due mamme (una adottiva) o due papà (uno adottivo) ai bambini delle persone omosessuali, non è dargli una madre e un padre (come si potrebbe?), bensì non concepirli, non farli nascere. Non ha quindi senso parlare del loro diritto ad avere una madre e un padre. Non c’è la violazione di un diritto, giacché non sarebbero mai nati. E’ più corretto dire che non si vuole il concepimento di bambini che nasceranno necessariamente con due mamme (una adottiva) o due papà (uno adottivo). Il discorso di Giovanardi potrebbe essere relativamente valido solo nei riguardi dei bimbi da adottare.Renato Pierri , renatopierri@tiscali.it-QUI-
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Il Papa ce l’ha con Marino per il registro delle unioni civili


Tra Papa Bergoglio e Marino, mi schiero mille volte con Marino. Perché non la raccontate tutta, voi (pure al Corriere!) dell’informazione? Il Papa è imbestialito con Marino per avere introdotto il registro delle unioni civili a Roma. Un’onta insopportabile, per il Vescovo di Roma. Al punto di arrivare a santificare l’impiegata anti-gay arrestata in America per infrazione della legge: questo, si’, un atto irresponsabile (e non solo politicamente) anche per il Papa. Per questo ha risposto seccamente alla domanda insensata di un dilettante dell’informazione (a un professionista come lei, Severgnini, non è certo sfuggito il sorriso livoroso che accompagna il “Chiaro?”). Nessuno aveva mai detto che Marino era stato invitato dal Vaticano. Polemica costruita sul niente. Da dilettanti dell’informazione.Gabriele Faenza, viadelsestomiglio@gmail.com-QUI-
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Caso Charamsa: da ateo e anticlericale, gioisco


Caro Beppe,
permettimi di gioire. Da ateo e anticlericale non posso che ridere beffardo del pretino innamorato, dell’umile servitore nella vigna del signore a cui piace l’omo. Raramente cenni di realtà irrompono nella Chiesa che vive di strane regole e vede il mondo in un modo tutto suo. La Chiesa nel mondo è diffusione del’HIV/AIDS, discriminazione della donna e degli omosessuali, pedofilia, finanza opaca. Fa sinceramente ridere che si dia rilevanza ad un convegno di vecchi signori che formuleranno qualche conclusione, non si sa in base a quale mandato, su cosa sia o non sia una famiglia, ascoltando interventi pilotati. La religione, scritta da uomini per gli uomini, è un insieme di regole a caso. È così perché è così. Ma intanto il mondo va avanti, il numero di credenti nei paesi industrializzati fortunatamente cola a picco. Ma io voglio proprio ringraziare Papa Francesco. Si’ perché io lavoro a 300 metri dalla Casa Bianca, e quando lui è arrivato hanno chiuso tutto e mi sono potuto fare due giorni di vacanza in più con la mia famiglia. Siamo andati al mare, lontano.Luca Bandiera, Lbandiera@hotmail.com-QUI-
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Monsignor Charamsa, l’omosessualità e la Chiesa


L’amore e sicuramente la sofferenza ha spinto il teologo Krzysztof Charamsa a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. L’amore e sicuramente la sofferenza o se non altro la consapevolezza della sofferenza di tanti innocenti nel passato e nel presente, ha indotto il sacerdote polacco a denunciare due gravi errori della Chiesa: la pretesa che gli omosessuali rinuncino per tutta la vita all’esercizio della sessualità (n. 2359 del Catechismo), e l’obbligo del celibato per i sacerdoti. Il versetto del vangelo che parla del celibato è il seguente: «Vi sono infatti eunuchi che nacquero così dal seno della madre, e vi sono eunuchi che furono resi tali dagli uomini, e vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19,12). La Chiesa cattolica “ha compreso” che per i presbiteri, la rinuncia al matrimonio non debba essere una scelta, ma un obbligo. Le Chiese orientali “hanno compreso” invece che uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti, ma non vescovi. Nel giudaismo, in base al precetto divino espresso in Genesi 1,28 («crescete e moltiplicatevi»), era sentito come un dovere religioso che l’uomo prendesse moglie; una sentenza rabbinica del secolo I d.C. dice: «Colui che non si preoccupa di avere una discendenza, è come colui che commette omicidio». Al n. 15 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “I consigli evangelici, nella loro molteplicità, sono proposti ad ogni discepolo di Cristo. La perfezione della carità, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita consacrata, l’obbligo di praticare la castità del celibato, la povertà e l’obbedienza”. L’errore sta nel fatto di trasformare tranquillamente, arbitrariamente, i “consigli evangelici”, in obblighi evangelici.Miriam Della Croce, miriamdellacroce@tiscali.it-QUI-
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Unioni civili: le polemiche sull’“utero in affitto”


Cari Italains, attenzione al “macigno” della legittimazione della maternità surrogata. La notizia: ”Il nuovo testo del disegno di legge sulle unioni civili “light” depositato con le firme di Monica Cirinnà e tutti i componenti Dem della Commissione Giustizia, solleva nuove polemiche e infiamma gli animi dei cattolici di Area Popolare”. Maurizio Sacconi, ve lo ricordate, Maurizio Sacconi? E’ quel signore che quando era ministro sembrava essere il padrone del corpo di Eluana Englaro. Bene, il Sacconi ha detto: “Per noi il testo non risolve i problemi principali. Rimane il macigno divisivo della genitorialità e della legittimazione dell’utero in affitto che noi chiediamo anzi di perseguire come ‘reato universale’. Ma certo, facciamo una legge che vieti a tutti gli abitanti del pianeta di ricorrere alla gestazione d’appoggio, che tutti chiamano con disprezzo utero in affitto. I macigni sono pericolosi. E Paola Binetti, ve la ricordate Paola Binetti? E’ la signora del cilicio, la signora che insisteva nell’affermare che l’omosessualità è una malattia, bene, la cattolica Binetti ha detto: “La “stepchild adoption”, come previsto dal ddl Cirinnà, non può che condurre direttamente ad incentivare la pratica dell’utero in affitto”. Anche lei con eleganza e delicatezza (sono tutti raffinati ed eleganti i nostri politici), ha definito la maternità surrogata (come vedete ce ne sono di definizioni) “utero in affitto”. E anche lei, come Maurizio Lupi (ve lo ricordate Maurizio Lupi? E’ quello…), come Sacconi, ha il terrore delle adozioni da parte delle persone omosessuali e, Dio ce ne scampi!, della gestazione d’appoggio. Peccato che questi raffinati cattolici non abbiano nessun riguardo per tutti i bambini già nati della coppie omosessuali che hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita (le donne), oppure alla maternità surrogata (gli uomini). Peccato che questi raffinati facciano discriminazioni tra questi bambini (ne conosco due meravigliosi) e gli altri bambini. Peccato.Attilio Doni, attiliodoni@tiscali.it-QUI-

La Chiesa è ancora lontana dalla modernità


Nella sua lettera il sig. Luca Bandiera gioisce per il caso Charamsa, il teologo omosessuale che ha fatto coming out (“Caso Charamsa: da ateo e anticlericale, gioisco” – http://bit.ly/1NmKDMM ). Gioisco anch’io, anche se mi devo fidare degli esperti quando dicono che il modo teatrale con cui il nostro teologo ha fatto questa confessione pubblica, finirà per fare il gioco dei conservatori. Pur riconoscendo a Bergoglio una personalità e un appeal da vero leader e trascinatore, mi pare che il Papa argentino sia molto più moderno e liberale nelle dichiarazioni pubbliche (famoso il “Chi sono io per giudicare”?) che negli atti concreti o anche solo nei propositi. Ma se Lutero è arrivato a compiere certi passi nel secolo XVI, quando il mondo era “appena” uscito dal Medioevo, credo che volendo (e il problema è tutto in questo gerundio!) la Chiesa potrebbe trovare il coraggio per certi strappi con il passato ora che siamo nell’Anno del Signore 2015. Di cosa sto parlando? Delle solite assurdità: il celibato dei preti, l’esclusione delle donne da ogni ruolo nella Chiesa, e quant’altro. L’altro giorno sul “Corriere” un cardinale mi parla del celibato citando a modello le sofferenze di Geremia. Ma qui siamo proprio alla follia… qualcuno vuole dire a questi “vecchi signori” (cito sempre il sig. Bandiera) di tornare su questa terra, di guardare agli uomini, alle loro sofferenze, al loro bisogno di amore, alle vittime di sacerdoti repressi e pedofili? Qualcuno vuole chiedere loro di leggere la Scrittura con occhi contemporanei, di guardare a modelli che hanno dimostrato di poter stare in piedi e di non arroccarsi nelle anticaglie e in posizioni disumane? E ora aspettiamoci la replica di qualche osservante: le sue ragioni non saranno fondate su argomenti razionali, ma su una lettura del Vangelo che ha dimostrato crepe così clamorose da essere stata disconosciuta da milioni di cristiani nel mondo. Cordiali saluti,Davide Brusadin, davidedream@alice.it-QUI-
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Chiesa cattolica e morale sessuale


Caro Beppe, vorrei rispondere a don Stefano Colombo (“La Chiesa c’è perché siamo fallibili e peccatori” – http://bit.ly/1L7xjbM ). Ho sempre dichiarato con gioia la mia fede cattolica, fede in Dio e in Gesù Cristo, ma la morale sessuale cattolica, spiace dirlo, è un’invenzione di santi e Papi avversi al piacere fisico, ossessionati dall’idea che per un’autentica vita spirituale si debba reprimere il corpo, idea che nulla ha a che vedere col Vangelo (ma molto con Freud). Per carità, non ha fatto di meglio la modernità, che per ridare dignità al corpo ha annientato lo spirito, ma non si può negare che i “malati” di cui parla don Stefano spesso sono tali perché qualcuno con molto potere ha inventato malattie inesistenti. Per secoli si è caricato sui credenti un senso di colpa frustrante per una cosa, il sesso, di sublime bellezza. Per secoli la Chiesa cattolica ha avuto preti sposati costretti, a seconda delle fobie del Papa o del vescovo di turno, ad allontanare la moglie o ridurla in schiavitù (mandata in convento o a servizio dal vescovo stesso!), con ciò insultando l’istituto del matrimonio oggi tanto difeso; per secoli ha affermato che è meglio l’incesto con la madre che il coito interrotto (tutt’ora formalmente vietato perché non ha fini procreativi); per secoli si son messi i chierici a dormire con vescovi e monsignori per essere certi che non si intrattenessero con donne (no comment!) e si è usato il confessionale per interrogare gli sposi sui loro “usi e costumi”, raggiungendo il ridicolo quando i preti erano talmente espliciti (ed eruditi) nelle domande che involontariamente suggerivano ai giovanotti idee su posizioni e pratiche erotiche che manco si sognavano. Se fosse stato possibile, sant’Agostino avrebbe gioito per la procreazione artificiale: fare figli senza godere, il top. Mi sono laureata in una università cattolica, mi ha insegnato cose FONDAMENTALI ma, pur non avendo mai visto libri scritti dai laici su come un sacerdote debba vivere la sua vocazione, ne ho visti tanti di preti che insegnano ai laici come devono vivere la loro vita matrimoniale, fuori e soprattutto dentro il letto. Perché? La lettera di Luca Bandiera (“Caso Charamsa: da ateo e anticlericale, gioisco” – http://bit.ly/1NmKDMM ) è ostile e sicuramente parziale, ma anche se non dice tutta la verità, ne dice un bel po’, a cominciare dalla poca considerazione della donna e dalla discriminazione degli omosessuali, i quali possono sì vivere nella loro condizione, purché non la “agiscano”, rivelando quella ipocrisia che purtroppo è segno distintivo di molti “pastori” che predicano bene e razzolano male.Sara Gamba, gambasara@tiscali.it-QUI-
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USA: omosessualità e ideologia liberal


Il dibattito sull’omosessualità è sempre molto acceso. Oltre all’attivismo giudiziario dei giudici della Corte Suprema, ben spiegato qui su “Italians” dall’avvocato Mortillaro, e alla lobby liberal di Hollywood, un contributo fondamentale al cambiamento culturale avvenuto negli USA proviene dalla scienza, la quale sostiene che l’orientamento sessuale sarebbe innato, non modificabile e naturale. Qualsiasi riserva sui cosiddetti matrimoni omosessuali viene quindi bollata come anti-scientifica. Le cose però non stanno esattamente così. Recentemente “Nature” ha annunciato uno studio del genetista Ngun di UCLA che dimostrerebbe l’origine genetica dell’omosessualità. Dopo pochi giorni, lo studio è stato smontato in quanto il campione utilizzato non è significativo e poiché i ricercatori hanno violato uno dei principi chiave, ovvero la separazione fra i campioni di inferenza e di verifica. Com’è possibile che uno studio così grossolano abbia ricevuto tanta attenzione? La risposta si trova nel “confirmation bias” e nel “groupthink”, di cui anche gli scienziati soffrono in forma virulenta. Jonathan Haidt, professore di piscologia sociale a NYU, in un articolo del 2014 pubblicato da “Behavioral and Brain Sciences”, fa notare che le scienze sociali siano dominate dai liberal, tanto che in psicologia i ricercatori che si definiscono liberal sono 10 volte tanti quelli che si definiscono conservatori. A questo Haidt aggiunge che, secondo uno studio di Inbar del 2012, l’85% dei liberal ammette di discriminare nei confronti dei colleghi conservatori. Ora, immaginiamo uno psicologo che scopra risultati che contraddicano il pensiero dominante: avrebbe l’onestà intellettuale e il coraggio di affrontare ricadute devastanti per la carriera? Se a questo aggiungiamo che, secondo il “reproducibilty project” pubblicato da “Science”, solo il 39% degli studi di psicologia sarebbe riproducibile, dobbiamo concludere che l’opinione pubblica sia manipolata da un gruppo che spaccia ideologia come scienza.Andrea Cogliati, andreac71@hotmail.com-QUI-
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Il ddl Cirinnà, le unioni civili e la “stepchild adoption”


Caro Beppe, la sera del 20 ottobre ho assistito ad un dibattito televisivo riguardante la proposta di legge sulle unioni civili e la discussa “stepchild adoption” (il meccanismo che permette a uno dei membri di una coppia di essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno/a, ndr). Ho trovato interessante la presenza della senatrice Cirinnà, prima firmataria della proposta, ma mi ha deluso sentire la sua imprecisione nel parlare di un tema così delicato. Cirinnà ha drammatizzato la questione, affermando che, in presenza di una coppia omosessuale, un bambino non è tutelato qualora l’unico genitore legale muoia. Ha poi insistito nel dire che in tal caso non verrebbe in alcun modo considerato il legame stabilitosi tra quel bambino e il compagno/a del genitore legale. Quindi, allo stato attuale, il bambino dovrebbe essere adottato da un’altra famiglia, magari estranea. L’art. 44 della legge n. 184/83, nel testo oggi in vigore, afferma in realtà il contrario: i minori orfani di padre e di madre possono essere adottati anche da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori. Quindi, in questo caso, i diritti del compagno/a stabile del genitore vengono messi sullo stesso piano di quelli dei familiari. Come decide, allora, il Tribunale? La legge rovescia la prospettiva, stabilendo che si tratta di valutare il preminente interesse del minore; il giudice (art 57) effettua o richiede approfondimenti sulla possibilità di una serena convivenza, tenendo conto della personalità dell’aspirante adottante e del minore. Quindi, non si nega affatto un diritto ai conviventi – omosessuali o no – e le recenti sentenze della Cassazione lo dimostrano. La realtà, oggi, è che si valuta caso per caso, mettendo al centro non presunti diritti degli adulti, ma il benessere del bambino.Donatella Miotto, miotto.donatella@gmail.com-QUI-
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Il ddl Cirinnà, la Costituzione e la giurisprudenza


Caro Beppe, vorrei riassumere le più assidue critiche al DDL Cirinnà evidenziando come siano tutte giuridicamente contestabili. 1. Gli omosessuali hanno già i diritti sanciti a tutti i cittadini italiani. Falso. La Corte Costituzionale nella sentenza 138/2010 scrive testualmente: “L’art. 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Quindi attualmente i cittadini italian i omosessuali non hanno il diritto costituzionale al riconoscimento giuridico della condizione di coppia. 2. Il matrimonio ha un valore sacro. Falso. Per la legge italiana il matrimonio è semplicemente un “negozio giuridico” (in termini giuridici meno precisi è un contratto) 3. Il matrimonio serve a garantire il diritto dei figli. Falso. Il fatto che la legge tutela con regole precise i figli nati all’interno del matrimonio non vuol dire che c’è alcuna obbligatorietà tra matrimonio e procreazione; banalmente esistono migliaia di coppie sposate e senza figli. 4. Un bambino ha diritto ad avere un padre e una madre. Falso. Con la sentenza 601/2013 la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto di una coppia omosessuale a crescere un bambino.Cordialmente,Paolo Amore, solo_pensieri@yahoo.it-QUI-
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Smontiamo il mito dell’amorevole perfezione della famiglia


Caro Beppe, cari Italians, quando ero un ragazzo, circa 40 anni fa, “famiglia” era un termine assai poco politico. Lo si usava nel linguaggio comune (“passo il Natale in famiglia”) o letterario (“Lessico Famigliare”). Oggi invece la famiglia è diventata un caso politico, “la base della società”. Io su questo avrei qualcosa da dire. Magari impopolare, ma tanto ci sono abituato. A me la famiglia sembra un’aggregazione di persone non scelta, molto incompleta, responsabile di gran parte delle “malattie” e dei semplici limiti che poi ci torturano durante l’età adulta. Preferirei pensare alla “tribù”, nel senso di far parte di un gruppo, o piuttosto di tanti gruppi, che mediano limiti ed errori inevitabili in qualsiasi coppia di genitori. Tutta questa amorevole perfezione che si dà per scontata nella famiglia infatti, non mi sembra di vederla. Vedo invece che a fronte di pochi fortunati (me compreso, per inciso) allevati da famiglie normali, vi sono un gran numero di papà e mamme che tanto amorevoli non sono, che creano un sacco di problemi. Alcuni consigliano di cambiare shampoo spesso, in modo che se una marca contenesse un componente tossico non se ne accumuli troppo. Ecco, io vedo la “tribù” (in senso lato: dal gruppo esteso dei parenti all’identità nazionale attraverso la Scuola e le Istituzioni) alla stessa maniera: un modo di esorcizzare e diluire i limiti insiti in ogni famiglia. E no, la famiglia non dovrebbe avere il diritto di decidere tutto quel che riguarda l’educazione dei figli, perché ci sono famiglie che funzionano – poche – e famiglie i cui limiti ideologici, culturali ed etici è meglio far smorzare ad una società in grado di farci vivere un po’ di tutto. Vista in questo modo, l’ottusa polemica scatenata dalla CEI nei confronti delle unioni civili, assume un volto diverso: ma si’, mettiamola nell’angolo questa presunta famiglia “base della società”, e diamo più spazio al confronto, a tante più cose si può. Male non farà, tranquilli.Paolo G. Calisse, pcalisse@gmail.com-QUI-
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Matrimonio gay: hanno tutti torto


Caro Beppe, difficilmente potrei trovare un argomento sul quale i torti siano di tutti, come quello dei matrimoni gay. Ovviamente, sono solo mie criticabilissime opinioni. Ha torto la Chiesa, che sostiene che i matrimoni civili non hanno alcun valore religioso (ricordi il caso dei coniugi di Prato?) e non si capisce perché ne voglia parlare, di una cosa che per lei non esiste. E perché credo che un cristiano non possa condannare a priori. Hanno torto i gay che vogliono chiamare tali unioni “matrimoni”: per me, tutto ciò che due maggiorenni consenzienti fanno a letto è solo un fatto loro, e un’unione permanente è una famiglia. Ma, nel mio anticlericalismo esasperato dal mio cristianesimo, dopo 2000 anni penso si possa riconoscere alla chiesa il “copyright” del termine “matrimonio”. Capisco che anche i nomi importano, ma credo che i gay possano più facilmente far valere i propri diritti se prima ottengono le unioni di fatto, poi anche il termine “matrimonio”. Hanno torto i cattolici che dicono “almeno non chiamatele matrimonio”, dopo che hanno fatto cadere Prodi sui DICO. Hanno torto i sindaci che registrano le unioni gay fatte all’estero. Come pubblici ufficiali devono rispettare le leggi. Se le leggi sono errate, e in questo caso probabilmente lo sono, devono farle rispettare e come politici, cercare di cambiarle. Ha torto chi si è appellato al Consiglio di Stato, perché era evidente che alla luce dell’attuale legislazione, la risposta poteva essere solo negativa. Ha torto il Consiglio di Stato: visto che la sentenza sarebbe stata certamente negativa, perché affidarne le motivazioni ad un giudice integralista dichiarato, insinuando il più che fondato sospetto che la sentenza sia dovuta più alle sue convinzioni personali che al diritto? Ho torto io a parlarne, può solo dare un sia pur minimo contributo ad esacerbare gli animi, ed ognuno resterà delle proprie opinioni. Saluti.Riccardo Rossi, vfcb@virgilio.it-QUI-
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Ci consigli 5 cose da fare a Londra?


Caro BSEV, una domanda secca. 5 cose da fare a Londra. Io e mia moglie abbiamo preso l’abitudine di tornarci ogni anno più o meno in periodo pre-natalizio (la città vestita a festa è bellissima)! Ovviamente cerchiamo di scovare cose da fare lontane dalle strade più battute. O almeno ci proviamo: oggi il festival jazz, domani un afternoon tea; una passeggiata lungo i canali, The Museum of Brands… Torniamo a Londra a fine novembre; che ci suggerisci di fare, dunque?-Sergio Grillo , essegrillo@gmail.com-QUI-

Vediamo. 1. Bus n.9, da Aldwych a Hammersmith, sedendosi nel posto davanti al piano superiore;  Bus n. 14, fermandosi per il Sunday lunch a Putney, con vista sul fiume 2. Una passeggiata a Holland Park e una sosta con un libro (se non piove) 3. Un ristorante indiano a Dalston, quartiere in movimento 4. Ascensione dello Shard (costosa, però). 5. Un giro al Reform Club di Pall Mall, quello della scommessa nel “Giro del mondo in ottanta giorni” (indicazioni qui, cravatta obbligatoria. Se la dimentichi, Sergio, chiedi di avere in prestito una di quelle che ho lasciato per i visitatori!).

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